Jazz: musica libera.

Jazz: musica libera.

 

 

 

Jazz: musica libera.

<< La musica è nata libera

e divenir libera è il suo destino >>

F.Busoni

 

Sono giorni che leggo articoli, riflessioni, interviste ad autorevoli critici, a cui va riconosciuto il merito senza dubbio di essere efficaci neurostimolatori del pensiero critico portando però alla ribalta tematiche di discutibile interesse sul corretto – o improprio – uso della parola magica Jazz, sulle sue radici o sulle sue condizioni di salute oggi.

Si percepisce un certo stato di inadeguatezza all’appartenere ad un modo di fare musica che molti definiscono superato. Per alcuni, il Jazz è stato dichiarato addirittura morto. Si aspetta così il cambiamento. Attendiamo la frattura, siamo in attesa dei futuri Schoenberg e Ornette Coleman L’avanguardia.

Come chiaramente evidenzia John F. Goodman nei suoi libri, negli anni sessanta, il jazz era già un mondo fatto di indici di gradimento, sondaggi, fatturati e ingaggi e quindi, fatti che con l’arte, avevano poco a che fare. E così per la critica di quegli anni il movimento d’avant-garde non era altro che un’etichetta, un manifesto culturale controcorrente, basato anche su una certa forza liberatrice, che prendeva le distanze da un mercato discografico di massa da cui il jazz dipendeva.

Mingus, che pure era considerato dai più compositore d’avanguardia, rifiutava quella parola. La rifiutava perchè era contrario al senso che la critica o i musicisti stessi davano a quella parola: far sentire quello che mai si era sentito prima, nuovo, irripetibile e irriproducibile. La ricerca avanguardistica di Mingus era invece orientata all’utilizzo di tutto quel materiale musicale di cui quotidianamente si nutriva: da Bach a Charlie Parker passando per Bartòk e Stravinsky.

E’ cosi infatti che nascono album straordinari e complessi di Mingus come Let my children hear music che, racchiudere sotto etichette di genere – come jazz o avanguardia – sarebbe davvero svilente, soprattutto se si considera che compositori e protagonisti di una certa corrente musicale come Mingus, pensavano al jazz più come un complesso di valori antropologici, culturali e politici prima ancora che come preciso linguaggio musicale.

Per tale ragione io penso che il jazz non possa essere destinato a morire. La musica si trasforma e segue le trasformazioni soggettive, i mutamenti del tempo e della società. Ma non muore e con sé nemmeno la spontaneità e l’autenticità che pagine musicali di tempi remoti trasferiscono al presente. Se così non fosse, perchè tantissimi interpreti dovrebbero continuare ad eseguire pagine meravigliose di musica classica? Perchè ancora commuoversi all’ascolto di un’aria di Handel, di Monteverdi o di un assolo di Charlie Parker?

La problematica, su cui spesso ci si imbatte, di cosa sia vecchio e cosa non lo sia credo vada ricercata in quella temperie culturale e politica che ha segnato profondamente il Novecento. Quando si parla di Novecento europeo, oltre alla frattura con il passato romantico, credo sia giusto parlarne in termini di fratture interne alla stessa società, colpita duramente al cuore da tragici avvenimenti e dalle atrocità di due guerre ingiuste – qualora dovessero esistere delle guerre giuste – che inevitabilmente produssero effetti reazionari unici e irripetibili nel mondo della pittura, della musica, del teatro e della cultura in generale: l’avanguardia come risposta all’ideale estetico romantico e come manifesto artistico del nuovo in sintonia con il mutare dei tempi.

E’ in questo periodo di importanti rivoluzioni che Schoenberg ha trovato terreno fertile per gettare le basi teoriche dei suoi pionieristici studi sulla dodecafonia e l’atonalità messi in pratica dai suoi allievi Webern e Berg.

Che impostazione avrebbe la società contemporanea se lEuropa fosse nata a tavolino senza spargimento di sangue, armi e distruzioni? E la musica? Larte?

Ma se è vero che il Novecento sarà ricordato come il secolo delle avanguardie artistiche, è anche vero che la realtà ci riporta ad una situazione musicale molto più particolareggiata, visto che in molti casi si continuava a comporre tenendo conto di tutti i valori, volgarmente detti “tradizionali” che la musica ci ha tramandato: tonalità, struttura, tempo e ritmo.

La musica è nata libera e divenir libera è il suo destino scriveva Busoni già nel 1935 in una versione incompleta del suo Abbozzo di una nuova estetica della musica . Era quello in cui credevano compositori come Schoenberg, Charles Mingus, Ornette Coleman i quali come Busoni erano fermamente convinti che Bach e Beethoven erano un punto di partenza e non un punto d’arrivo da non superare.

Bach – nelle sue fantasie per organo – mostrava perfettamente tutto il suo desiderio di libertà svincolata dalle simmetrie architettoniche nelle quali invece erano rinchiuse le sue fughe.

E’ una forma di libertà primordiale che poneva davanti il rapporto tra uomo e natura tradotto in quel desiderio di liberazione di cui lo stesso Beethoven era colmo e che in alcuni momenti della sua produzione raggiungeva.

Concludo questa mia breve riflessione sostenendo che la cosa a cui dovremmo tendere è anzitutto il netto superamento culturale di quelle inutili linee di confine tra generi musicali ed avere maggior consapevolezza storica e rispetto per la pluralità di espressioni artistiche. Il nuovo ci oltrepassa ogni giorno; se non riusciamo ad accorgercene è perchè gli uomini non hanno mai pienamente compreso cosa sia la libertà.

 

Donatello D’Attoma

 

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